GIOVENALE SACCHI Vita del Cavaliere Don Carlo Broschi Prefazione AI MOLTO REV. PADRI STANISLAO, E CLEMENTE MATTEI Maestri nelle insigni Cappelle di S. Francesco di Bologna, e d'Assisi. Io era, Molto Reverendi Padri, pieno di venerazione per la vostra Bologna avanti ch'io la vedessi; ma vedendola ho compreso, che l'opinione mia sebben grande non aggiungeva al suo vero merito. Io ci ho fatto l'autunno scorso tanto piacevolmente, che avr\`o sempre a ricordarmene, se vivessi gli anni di Nestore. N\'e questo affermo io soltanto per la chiarezza del cielo, e la qualit\`a dell'aere, che io al bisogno ho provato salubre assai, e per gli antichi e nuovi monumenti di dottrina, per la magnificenza, bellezza, e variet\`a degli edificii, e per la molteplicit\`a delle pitture eccellenti, le quali cose tutte possono lungamente pascere le osservazioni degli Studiosi, e per la incomparabile comodit\`a dei portici, il qual pregio ne' forastieri per la novit\`a fa maggiore impressione, che in voi; ma altrettanto e pi\`u per l'amorevolezza, e vivacit\`a della nazione, e degli altri generalmente, che ci abitano, a' quali sembra, che il vostro stesso carattere si comunichi. Io non saprei dire se la fortuna giuocando abbia per me fatto cerna. Ma io ho cost\`i conosciuti con mia somma consolazione Prelati grandissimi senza alterezza, Letterati insigni senza emulazione, e senza misteria, Religiosi di diversi Ordini, ed Ecclesiastici Secolari pieni di virt\`u, e insieme coltissimi, gentilissimi, e d'una amenissima, e soavissima compagnia. Io mi stimerei fortunato sopra modo, se potessi mostrare a tutti con opera, e a quelli principalmente, che in alcuna cosa favorito m'hanno, la mia stima, e il grato animo. Ma poich\'e l'occasione, e il poter mi vien meno, e tali sono tanto di me maggiori, che altro a me non sar\`a mai possibile, che osservarli, e venerarli da lontano (il che io fo colla pi\`u ossequiosa divozione), oltre a quella parte del debito, che pagar si pu\`o colle parole, pronte a rendere testimonianza degli altrui meriti, a voi, Padri Molto Reverendi, co' quali pi\`u spesso mi sono insieme trovato, invio il dono di queste poche carte, e priegovi, che con quella gentilezza, colla quale gi\`a vi siete obbligata la mia riconoscenza, vogliate gradire il buon animo, col quale ho voluto far nota al Pubblico la stima, ch'io fo delle Persone vostre, e del vostro valore nell'arte armonica, e insieme la riverenza, che porto al vostro inclito Ordine, tra' cui meriti molti, e grandi, io non numero per ultimo la cura, che ha tenuto sempre, e tuttavia tiene dello studio musicale, e il retto, e costante giudizio, col quale i vostri maggiori hanno mostrato d'intendere, che non possono essere indegni de' Sacerdoti della nuova Legge quegli ufficii, e quei ministeri, cui Davide, e Salomone nell'antica assegnarono alla Santa Trib\`u dei Leviti. Qualunque il pregio sia di questa mia ultima fatica molto lieve, non sar\`a per\`o da voi riputata inutile, perch\'e io scrivendo la vita del Cavaliere Farinello ho inteso di risvegliare negli Esecutori del canto la necessaria diligenza, e il buon metodo, come pure in questi pochi anni addietro hanno tentato di richiamare i Compositori alla retta via del comporre, abbandonata oggid\`i, non da voi, ma quasi da tutti gli altri, il Chiarissimo Sig. Conte Giordano Riccati mio ottimo amico, e padrone veneratissimo, pubblicando la vita di Monsignore Agostino Steffani, e il mio dilettissimo Collega Padre Francesco Fontana, producendo l'altra del Nobil Uomo Benedetto Marcello. Vero \`e che le composizioni de' trapassati rimangono, e possono altrui essere di esempio. Le voci non rimangono; n\'e colle parole, e co' precetti, senza l'aiuto, e l'esempio delle vive voci, i buoni Cantori si possono formare. Nondimeno la memoria di un Cantore eccellentissimo, e le fortune ch'egli fece, indurranno molti a dubitare di se medesimi. Quindi dubitando cercheranno, e cercando in diversi modi di migliorare, miglioreranno. Cos\`i io spero; e certo sono, che le speranze mie non saranno vane, se voi, e gli altri illustri allievi del celebre Padre Maestro Giambattista Martini, e il vivo oracolo del Padre Maestro istesso, confermando, e fecondando le cose da me dette, aggiungerete alle parole del Teorico quel peso d'autorit\`a, che per se sole non possono appresso i Pratici avere. Di che nondimeno io non dubito; anzi in sin di qua egli mi par di vedere cogli occhi della fronte l'ottimo, e venerabil Vecchio, chiarissimo lume della Scuola Bolognese, sedente innanzi al tavolino, dove attende al proseguimento della sua nobile Istoria, carico d'un monte di carte, e di libri d'ogni genere, tenersi in mano il nuovo libro, ragionarne con serena fronte cogli amici, che gli seggono intorno, e con alcuno de' forastieri viaggiatori venuto a visitarlo, approvare, e lodare il fine al quale l'opera \`e rivolta, e con dolcezza ricordare il vecchio amico, che vede in quella dipinto. Voi facendogli parte del ricevuto dono rappresentategli i miei umili ossequi, e affettuosi saluti. Salutate ancora caramente tutta la compagnia solita, colla quale io pi\`u volte mi trovava. Fate distintamente le mie parti col Signor D. Vincenzo Cavedagna. Troppo \`e giusto, che il Principe de' Signori Filarmonici dagli altri si distingua. Similmente vorrei, che all'occasione mi ricordaste al Rev. Signor Ignazio Perini della Congregazione di S. Filippo, facendogli insieme memoria de' nostri lunghi discorsi intorno la qualit\`a delle musiche composizioni opportune al suo Oratorio, e al gentilissimo Sartorini. Questo eccellente Cantore legger\`a con maggiore diletto degli altri la vita d'un Professore, che molto a lui somigliava nella buona grazia, e nelle virt\`u Cristiane. Vorrei, che almeno in parte lo assomigliasse ancora nella fortuna. Non fo pi\`u lungo elenco, perch\'e troppo gran carico vi darei, se volessi per mezzo vostro salutare tutti gli altri Signori Bolognesi, nella cui memoria io cos\`i vorrei vivere, come io gli ho, e gli avr\`o sempre vivi, e presenti nella mia. L'infinita bont\`a del Celeste Padre lungamente vi conservi amendue al servizio della sua Santa Casa, a' vantaggi dell'Ordine, e alla consolazione degli amici. Voi di me ricordatevi ne' SS. Sacrifici, e in tutto quello, a che si possono stendere le mie picciole forze, comandatemi, che io son di cuore Delle Paternit\`a Vostre molto Reverende In Milano nel Collegio Imperiale de' Nobili il primo di Gennaio 1784. Servitore, ed Amico Giovenale Sacchi. Vita del Cavaliere Don Carlo Broschi Molti cantori sono pervenuti a ricchezze grandi, ed a grandi onori. Nessuno pervenne a pi\`u grandi onori, o a pi\`u grandi ricchezze, se voluto avesse, potette pervenire, del Cavaliere D. Carlo Broschi, appellato il Farinello: n\'e per\`o ebbero gli uomini giusta cagione per questo di querelarsi, che il piacere occupasse il luogo del merito; tante virt\`u accompagnavano in lui l'eccellenza dell'arte, che professava. Nacque in Andria a' 24 di Gennaro dell'anno 1705 da Salvatore Brosco, e Caterina Barese Napolitani, e della qualit\`a della sua schiatta non plebea, ma nobile, e generosa, io tengo innanzi gli occhi i monumenti esibiti all'Ordine Calatrevense, quando fu ad esso aggregato; e perch\'e alcuna legale formalit\`a a questi non vien meno, nessuno potrebbe narrando allontanarsene, salvoch\'e temerariamente. Da' medesimi monumenti apparisce, che egli non fu sottoposto al taglio nella puerizia per conservare la mollezza della voce, e cos\`i venderla a maggior prezzo; ma bens\`i per conservare la vita in un grave pericolo corso per la sua fanciullesca vivacit\`a, saltando sopra un cavallo, onde cadde, e fu anche offeso nella fronte. Ben la famiglia era povera; onde appar\`o i primi elementi della musica dal suo padre istesso in patria, insieme con Riccardo suo fratello: poi, perch\'e apparivano molte speranze in quella via, dove il caso lo aveva incamminato, fu raccomandato dal padre a Niccol\`o Porpora, il pi\`u perfetto Maestro di canto, che allora Napoli avesse, e forse tutta Italia, che in quel tempo n'ebbe molti eccellentissimi. Fiorivano nel tempo istesso in Napoli tre fratelli illustri togati, di cognome Farina, famiglia oggi estinta, tutti grandi conoscitori, ed amatori della musica, appresso i quali cantando frequentemente il fanciullo Broschi, insieme colle prime lodi, che gli erano date, acquist\`o il cognome di Farinello, che mai non gli cadde in tutta la vita. Venne a Napoli il Conte di Scortembak nipote del Vicer\'e, che allora governava, ed il Signor D. Antonio Caracciolo Principe della Torella suo amicissimo, volendo festeggiare il suo arrivo, fece comporre al giovane Metastasio l'Angelica e Medoro, e questa fu la prima composizione di quel chiarissimo Poeta che si eseguisse; e in quella la prima volta il Broschi cant\`o pubblicamente. Il che ricorda elegantemente il Metastasio nel Sonetto, col quale a lui dimorante alla Corte del Re di Spagna indirizza il dramma la Niteti, dicendo Appresero gemelli a sciorre il volo La tua voce in Parnaso, e il mio pensiere. Cos\`i la fortuna nel principio della carriera accoppi\`o insieme i due massimi lumi, che mai avesse, o per avventura sia per avere il moderno Teatro. Il Metastasio contava anni diciotto o in quel torno, e il Broschi anni forse quindici. Nondimeno in cos\`i picciola et\`a l'uno assai bene conobbe il valor dell'altro, e furono poi sempre amicissimi fino all'ultima vecchiezza, comunicando insieme per lettere, e vicendevolmente onorandosi. Avendo il Broschi eccitata colla voce, e coll'arte sua l'ammirazione fu subito ricercato da' primi Teatri, ed era rimunerato con grosse somme. Dall'anno 1722 fino all'anno 1734 recit\`o in Napoli, Roma, Venezia, Bologna, Ferrara, Piacenza, Parma, Lucca, Firenze, Milano, Torino; nella pi\`u parte di queste Citt\`a pi\`u volte, in Roma fino a sei volte, in Venezia fino a sette. Finalmente invitato a portarsi a Londra da Milord d'Essex Ambasciadore del Re d'Inghilterra alla Corte di Torino, fu col\`a assoldato per sei mesi, ed ebbe lire sterline mille cinquecento una. Dicesi, che nessun canto si udisse pi\`u perfetto del suo. Egli aveva sortito dalla natura una voce chiarissima, dolcissima, e al sommo penetrante; un organo obbedientissimo, e quello che pi\`u importa il mantice del polmone di ampiezza straordinaria. Cos\`i almeno sembra doversi dire, perch\'e egli eseguiva con facilit\`a, o certo con piccola fatica ci\`o, che agli altri suole essere impossibile. Di che tra le altre \`e memorabile la prova, ch'egli diede l'anno 1722 la prima volta, che cant\`o in Roma, dove quasi scherzando prese a gareggiare con un suonatore di tromba. Le prime sere pass\`o quella contesa inosservata. Per avventura il suonatore istesso non se ne accorse; ma in seguito essendo stato avvertito, e riscaldandosi la gara si lev\`o il romore grandissimo di chi favoriva questo, o quello; ma alla fine il musico a giudizio comune fu reputato superiore alla tromba, e degno di vie maggiore ammirazione. A questi doni della natura, e alla fortuna del Maestro eccellentissimo, che avuto avea, aggiunse una somma diligenza. Cos\`i tutte le buone condizioni, tutti gli ornamenti del canto trovavansi in lui uniti, e condotti all'ultima perfezione. Il suo trillo era granito, uguale, o come dicono tondo, e dell'istessa forza, bench\'e lungo assai dal suo principio alla fine. Soavissime erano le appoggiature tanto ascendenti, quanto discendenti; perfetti i mezzi trilli, perfetti, e ben distinti i gruppetti; ogni cosa in suo genere eccellente. Abbandonata la scuola del Maestro non per\`o avea abbandonato lo studio. Ogni mattina sedeva per lungo spazio di tempo al gravicembalo esercitando la voce, studiosamente ricercando le variazioni, e osservando diligentemente, in che pi\`u la natura lo aiutasse. Cos\`i ogni sera veniva al Teatro con passaggi nuovi, e cadenze nuove; n\'e per\`o variando, ed ornando le composizioni le guastava, come la pi\`u parte de' Musici fanno, e troppo \`e facile a fare; ma egli sapea molto bene collocare gli ornamenti suoi a luogo, e tempo, ed usava della libert\`a con giudizio, perch\'e non era ignaro dell'arte del contrappunto, e sapea scrivere da s\'e, come egli fece ancora alcuna volta con lode non mediocre degl'intelligenti. I maestri di canto ragionano assai lungamente della messa di voce. Questo \`e un accrescere grado a grado la forza della voce infino a certo segno tenendola sempre ferma nel medesimo grado di acutezza, e di poi allo stesso modo, ma per contrario diminuendola. In questo gioco singolarmente apparisce la bont\`a della natura, e la perfezione dell'arte; perch\'e quelli, che meglio sanno mettere la voce, meglio cantano, a che riguarda l'antico proverbio: Chi non sa fermare la voce, non sa cantare. Del quale oggid\`i sembra che la pi\`u parte de' cantori si sieno dimenticati. Or nessuno ebbe la messa di voce pi\`u ammirabile del Broschi. Egli raccogliea innanzi il fiato in grande quantit\`a, poi lo dispensava con tal misura (questo dicevasi dagli antichi cantar leggiero), che lunghissimamente oltre l'aspettazione d'ognuno sosteneva la voce con forza, e dolcezza inimitabile. Singolare \`e la prova, che di ci\`o fece in Londra l'anno 1734. Il Teatro, dove egli dovea cantare, era favorito dal Principe di Galles padre del Re odierno, e la composizione era di Riccardo suo fratello. Un altro Teatro era favorito dal Re stesso, e dalla Regina, e la composizione era di Giorgio Handel [sic] Maestro attuale della Principessa di Oranges figlia del Re, e doveano pure in questo cantare ad un tempo Senesini, Carestini, e la Cozzoni, nomi chiarissimi. Farinello nel principio del Dramma con una messa di voce, a cui il compositore a studio avea dato luogo, si propose di rivolgere a s\'e l'ammirazione, e il favore del popolo, e l'ottenne. Posesi la destra mano sotto il petto dalla parte del cuore, e quivi comprimendo quasi per cautela, mand\`o fuori una voce tanto gagliarda, cos\`i lungamente sostenuta, e tanto meravigliosamente modificata, che fece rimanere attoniti gli ascoltatori tutti, e sgoment\`o i musici competitori suoi, ch'erano venuti ad udirlo. Il lieto plauso del Teatro fu inestinguibile per cinque minuti di tempo, e da indi in poi il concorso del popolo fu tanto, che dall'Ottobre al Maggio gl'impressarj di quel Teatro pagarono dicannove mille lire sterline di debito, di che si trovavano carichi. Cos\`i grande effetto d'una messa di voce pu\`o parere a molti incredibile; ma noi abbiamo memoria di un caso simile avvenuto in Roma, dove Arcangelo Corelli con una messa d'arco vinse un famosissimo suonatore di violino della Regina di Svezia appellato il Gobbo. Corelli avea cortesemente ceduto il primo luogo al forastiere, e questi avea ripieni gli ascoltatori sonando di tanto diletto, e tanta meraviglia, che pi\`u non parea possibile, che fosse dall'altro superato. Ma Corelli fatte al competitore le congratulazioni, con una messa d'arco, che colloc\`o nel cominciamento della sua parte a solo, riacquist\`o il giudizio di tutti a suo favore, e lo vinse. Tale, e tanta \`e l'impressione, che fa nel senso, o per meglio dire nel sangue degli uditori una giusta voce accresciuta, e sostenuta secondo l'arte nel modo, che \`e detto. A queste doti straordinarie del canto, che appagano il senso, univa il Broschi ancor quelle, che riguardano la intelligenza, perch\'e egli rendeva le parole chiarissimamente, e con grande efficacia, e verit\`a esprimeva qualunque affetto, o passione, cos\`i quelle, che importano tardit\`a, o languore, come quelle, che vogliono vivacit\`a, rapidit\`a, leggierezza. Quando egli parlava dell'arte sua, tanto inculcava la espressione degli affetti, e la pronunziazione intera delle parole, e le avvertenze a ci\`o necessarie nell'aprire decentemente la bocca, e ben governare il fiato, e i moti delle labbra, e della lingua, che parea in ci\`o collocare tutta la perfezione del canto. Sebbene infino a principio fosse in lui mirabile la natura, e l'arte, nondimeno gli ammaestramenti della esperienza molto contribuirono a renderlo pi\`u perfetto. Fu chiamato nell'anno 1727 a cantare in Bologna insieme con Antonio Bernacchi chiarissimo cantore, e maestro di cantori chiarissimi. Il giovine Broschi cantando la prima volta insieme con lui privatamente giudic\`o che il suo valore non fosse uguale alla sua fama; onde con certa animosit\`a giovanile cominci\`o a fare ostentazione della propria abilit\`a, il che il pi\`u vecchio non faceva. Si accorse Bernacchi di essere provocato, ed accesosi alquanto, feceli sentire, che egli non era ancora a tempo di uguagliarlo, non che di superarlo. Questo accidente, che avrebbe disgiunto due altri, che fossero amici, congiunse questi due in amicizia, che fu poi indissolubile, perch\'e erano amendue di ottimo animo, e oltre a ci\`o fu questa una occasione a Farinello di farsi migliore che non era; perch\'e compresa la superiorit\`a del Bernacchi nell'arte, il preg\`o che volesse riceverlo alla sua scuola. Subito poi trasferitisi amendue a cantare a Roma, quivi ogni mattina il Broschi frequentava la casa del Bernacchi, ed apprendea da lui quelle grazie sopraffine, delle quali non era ancora abbastanza fornito. Dopo tanto profitto non potevasi per\`o ancor dire, che il canto del Farinello fosse perfezionato in ogni parte. Egli studiava, come tutti i musici fanno, di eccitar meraviglia, e di porger diletto al senso materiale dell'udito pi\`u che all'animo; cercava il difficile pi\`u che il bello, e amava di far ostentazione della voce, e dell'arte. L'amica fortuna il condusse in parte dove avesse occasione di conoscere ancor questo errore da pochissimi conosciuto, e di spogliarsene. L'anno 1732 fece un viaggio a Vienna. Due altre volte nella giovent\`u fu a Vienna, e in amendue cant\`o alla Corte, non mai in Teatro; ivi fu dichiarato Virtuoso di camera di Sua Maest\`a Cesarea, a cui era gratissimo, e per l'eccellenza del canto, e per le maniere, e l'accento proprio della lingua Napoletana, onde gli fu anche data la successione di Matteucci nella Reale Cappella di Napoli quando avesse voluto usarla. Carlo Sesto, che amava assaissimo la musica, anche n'era conoscitore, e giudice finissimo. Avendo egli dunque udito il Farinello pi\`u volte, e accompagnatolo egli stesso stando al cembalo, disceso a parlar seco familiarmente dell'arte, e con quella benignit\`a, che era in lui incomparabile, gli disse: Tutte le parti in voi sono ammirabili. Voi nel cantare non vi movete, n\'e vi tenete fermo come gli altri fanno. Superate i pi\`u tardi nella tardit\`a, e nella velocit\`a i pi\`u veloci. Le altre cose tutte superano in voi l'aspettazione. Questa era la via sicura per eccitare la meraviglia, e farvi celebre. Ma gi\`a voi vi siete fatto celebre abbastanza. Sarebbe ora per voi il tempo di pensar a piacere meglio usando i doni, de' quali la natura liberalissimamente vi ha arricchito. A tal fine conviene, che i vostri passi sieno d'uomo, non da gigante. Pigliate un metodo pi\`u semplice, e piano, e rapirete i cuori. Non sono i Musici i pi\`u facili a rimanere persuasi; molto meno quelli, che cresciuti sono fra lo strepito degli applausi. Ma chi non avria commosso un insegnamento cos\`i savio, e posto sulle labbra di un maestro tanto autorevole? Farinello d'allora in poi temper\`o il suo stile, anzi quasi in tutto lo mut\`o; e parlando egli stesso col Dottore Burney afferm\`o, che l'ammonizione di quel gran Principe gli era stata pi\`u utile di tutti i precetti de' suoi maestri, e di tutti gli esempi de' suoi competitori. Ma della forma, e della perfezione del canto di Farinello tanto basti aver detto. Chi pi\`u desidera, vegga Giambattista Mancini nella sua opera intitolata Riflessioni sopra il canto figurato, dacch\'e il giudizio di cose tali meglio si conviene al maestro di canto, che allo istorico. Ben quello, che \`e detto, basta a farci comprendere, che stolti gi\`a non furono i nostri maggiori, i quali tanto ammirarono, e celebrarono questo uomo, e che il suo merito non eccedono le lodi amplissime, che a lui furono date dal Poeta Crudeli, il quale lui encomiando innalz\`o anco se medesimo oltre il solito. Mentre io raccoglieva queste memorie, sono anche stato attento per sottrarre, se egli cadesse in que' disordini, che nella vita de' Musici sogliono essere quasi inevitabili. Trovo che da principio era propenso ai giuochi di sorte, ma anche presto si corresse, e costantemente poi se n'astenne. Anche dalle donne non fu sempre alieno, e generalmente avea in consuetudine di far la corte a quelle cantatrici, a cui erano date le prime parti; da che traeva un vantaggio. Perch\'e cos\`i toglievansi quelle gare e quella invidia, onde alcuna volta i professori l'uno l'altro si combattono. Che che fosse dell'interna disposizione del suo animo, egli anche in ci\`o tenne modo, e decenza. Agl'Impressarj era fedelissimo; e come ampiamente egli era rimunerato, cos\`i procurava dal suo canto, che facessero buon negozio. A tal fine per non mancare giammai dalla sua parte diligentemente regolavasi nel vitto, e nei sollazzi. Mai non si sarebbe fatto udire da alcuno prima che nel Teatro, e per meglio custodire la voce nel tempo che dimor\`o in Inghilterra, che furono anni tre, costumava di ritirarsi in primavera dalla Citt\`a, e vivere in campagna infino a mezzo Luglio. Cos\`i difendevasi dall'aria, che dicesi al petto inimica. Nello spendere amava la magnificenza. Con tutto questo era anche bastevolmente economo, onde prima d'uscire d'Italia avea gi\`a qualche capitale impiegato in Napoli, e comperata una possessione, e una casa un mezzo miglio fuori della Porta delle Lame di Bologna, che poi a poco a poco fece fabbricare, ed ornare a suo genio, e dove poi condusse gli ultimi anni della vita. Ma finch'egli fu assente, govern\`o quella rendita, e ogni cosa fece per lui il Conte Sicinio Pepoli suo grande amico, e padrone, alla cui affezione, e da vicino, e da lontano egli si mostr\`o sempre gratissimo. Anzi per rispetto suo pur dopo la sua morte onor\`o assai tutta la Casa Pepoli, e singolarmente la Contessa vedova Eleonora, i figli Odoardo, e Teresa, e il Marchese Muzio Spada, a cui quest'utlima si leg\`o in matrimonio. Trovavasi Farinello a Londra l'anno 1737 dell'et\`a sua trentesimo secondo, ed era nel colmo della fama. Quello fu l'ultimo anno, che egli si ascoltasse in Teatro, perch\'e da indi in poi impieg\`o la sua voce, e tutta la vita in servigio dei Re di Spagna affine di sollevare il loro animo dalle cure del regno, o per meglio dire dal peso della mortalit\`a, che affatica, e opprime i Re, non meno che i privati. Fu egli chiamato a questo officio per opera della Regina Elisabetta erede non solo dello Stato di Parma, ma ancora della protezione, e benignit\`a, che li Duchi di Parma di lei maggiori, avevano avuta per lui nella sua prima giovent\`u. Ella pens\`o di sostituire questo mezzo alle caccie, alle quali il Re Filippo Quinto non era pi\`u robusto abbastanza. E morto Filippo Quinto fu all'istesso fine ritenuto dalla Regina Barbara di Portogallo, che niente meno era sollecita per Ferdinando suo sposo. Nel viaggio cant\`o al Re in Parigi, dove secondo che narra il Riccoboni, rap\`i tutti gli uditori. Aborrivano i Francesi a quel tempo la musica Italiana, ma allora ebbero occasione di dubitare, che s'ingannavano. Giunse a Madrid il giorno di S. Gaetano, a cui egli avea singolar divozione, e nelle prime esperienze tanto grad\`i al Re, che determin\`o di tenerlo costantemente presso di s\'e, onde gli stabil\`i per ciascun anno un soldo corrispondente a quello, che gli era stato dato in Londra per sei mesi, mediante real decreto, che lo dichiarava suo familiare, e servitore indipendente da ogni Tribunale, fuor solamente della sua Real Persona, e della Regina, aggiungendo al detto soldo casa, e carrozza dalla reale cavallerizza colla livrea del Re, e i carriaggi per il suo equipaggio. Sotto Filippo Quinto non ebbe il Broschi tante commissioni, e cure, quante sotto Ferdinando; nondimeno quei pochi anni furono per lui i pi\`u faticosi per l'assiduit\`a, che doveva prestare al Re. Parea che il Re non potesse vivere un giorno senza di lui, il che non deesi attribuire al canto, ma piuttosto, o certo molto pi\`u alle sue ottime maniere. Egli parlava l'Italiano, e il Francese egregiamente; in picciol tempo si accostum\`o al Castigliano; qualche poco ancora avea di Tedesco, ed Inglese. Era gentilissimo, e prudente molto, insieme apertissimo di cuore, e schietto; della qual virt\`u il Re si compiaceva assaissimo. E certo i Re debbono sentire pi\`u che gli altri il piacere d'un amichevole conversazione senza finzione, ed arte, quando in alcuno la trovano, e secondo il loro grado la possano ammettere, perch\'e rarissimo la trovano tale, che non abbiano a temere d'inganno, o che in alcun modo non sembri offendere la loro dignit\`a, e il supremo arbitrio. Accresceva la dolcezza di tale conversazione la commemorazione de' paesi, e delle cose d'Italia, dove il Re era stato per alcun tempo. Ogni d\`i appena svegliato diceva: Sia avvisato Farinello, che questa sera l'aspetto all'ora solita. Presentavasi Farinello poco avanti la mezza notte, e non era mai licenziato, che a principio di giorno, cio\`e intorno quattro ore dopo e ritraevasi allora all'appartamento suo; perch\'e aveva appartamento in Corte, sebbene anche avesse altra casa. Cantava ogni sera tre o quattro arie; e ci\`o, che appena sembra credibile a dirsi, quelle medesime sempre. Due erano del Signor Hasse: Pallido il sole; E pur questo dolce amplesso. La terza era un minuetto, che egli usava di variare a suo piacimento; la quarta una similitudine presa dal rosignuolo, non so di qual Poeta, n\'e da chi posta sotto le note. Quali arie mai si pu\`o dire, che fossero pi\`u fortunate di queste? E se per caso (che tuttavia era molto raro) omettevansi le altre, l'aria del rosignuolo non si ometteva giammai. Era nondimeno dispensato il Farinello da tale conversazione, e servit\`u, ogni volta che il piissimo Principe accostavasi a' Santi Sacramenti, perch\'e la sera precedente impiegavasi nella preparazione. Conoscea Farinello l'affezione sincera, che il Re gli portava, e a quella pienamente corrispondeva, perch\'e l'amava quanto un pi\`u tenero amico pu\`o amar l'altro. Impegnavasi di tenerlo allegro, in che aveva grande abilit\`a col discorso, sebbene egli stesso fosse di temperamento malinconico; e come che alcuna volta si trovasse indisposto, vincea coraggiosamente se stesso, e non lasciava mai che il Re avesse a desiderare la sua servit\`u. Succedendo a Filippo Ferdinando, egli ebbe maggior modo di mostrare il suo ingegno, e la efficacia in operare. Ferdinando non solo avea buon orecchio per la musica, ma anche esatto giudizio, avendo avuto un maestro ottimo in Domenico Scarlatti. Sotto la diligenza dello stesso avea profittato assaissimo la consorte Barbara; anzi questa non solo era di gusto finissimo, ma schifiltoso ancora, e ad appagarsi non punto facile. Fu data al Broschi la cura di trovare divertimenti proporzionati all'animo quieto del Re. Quindi ebbero origine diverse novit\`a. Non si costumavano nel Teatro di Madrid Drammi in musica salvoch\'e in occasioni rarissime, e straordinarie. La nazione contentavasi delle commedie, che si recitavano. Allora i Drammi musicali cominciarono a frequentarsi, e il Broschi avea cura d'ogni cosa, sebbene in quelli non cant\`o mai. Il Tago, che scorre presso la Real Villa di Aranquez, e d\`a a quella un amenissimo prospetto colla sua ampiezza, ivi non era navigabile, e oltre ci\`o il lido paludoso impediva il passeggio, e alle esalazioni rendea l'aria non sana. Il Broschi propose, che si colmasse, e si bonificasse il terreno, e che il letto del fiume si purgasse; nel medesimo tempo si fecero costruire cinque legni magnifici, ed ornatissimi, acciocch\'e le Reali Persone colla Corte potessero diportarsi a loro arbitrio, o navigando in su in gi\`u per quelle acque, o sul lido passeggiando. Quivi furono chiamati i piloti e i marinari pi\`u esperti della real marina da Cartagena, e per albergare i marinari, e custodire i navigli fu fabbricato un bello arsenale, ed eretta una Cappella, la quale fu benedetta da Monsignor Migazzi, ora Cardinale, e allora Nunzio dell'Imperadrice Teresa alla Corte di Spagna. Fatte tali disposizioni si andavano di anno in anno immaginando quelle feste, che pi\`u potessero divertire il Re. Era il Broschi attissimo a governare un Teatro, perch\'e oltre la perfetta cognizione della musica, era anche intelligente di pittura; ed egli stesso si esercitava disegnando alcun poco colla penna. Era fecondo d'invenzioni; ed egli stesso immaginava le macchine per esprimere i tuoni, i lampi, le pioggie, le gragnuole; e il celebre macchinista Giacomo Bonavera Bolognese si form\`o sotto la sua direzione, e co' suoi lumi. Era anche per la sua piet\`a, e religione molto sollecito, che niente si ammettesse nel Teatro, che potesse offendere i costumi. Secondo gli ordini da lui prescritti non era lecito a persona, sebben fosse degli ordini pi\`u elevati, l'accostarsi alle camere, dove gli attori si vestivano. Voleva, che le vesti femminili fossero decentemente lunghe; e anche fuori del Teatro vegliava egli stesso sulla condotta de' Cantori, e delle Cantatrici. I balli in tutto erano esclusi, come la parte meno ingegnosa della rappresentazione, e insieme la pi\`u eccitatrice de' sensi. Ma gli atti interrompevansi con brevi scene buffe. Furono poi ammessi i balli dopo la sua partenza, quando il Teatro divenne venale, perch\'e avanti aprivasi a spese del Re solo, e non vi si ammettevano, che gli Ufficiali deputati a servizio del Re, e della Real Famiglia, i Ministri esteri, i Personaggi pi\`u distinti, e pochi altri per favore. Se il Teatro pu\`o essere innocente, allora il fu sotto quel savio regolamento. Ma senza dubbio in nessun altro pot\'e meglio gustarsi la dolcezza del canto; perch\'e ivi non si ud\`i mai quello strepito, che oggi \`e frequente negli altri, e che forse \`e una parte dell'allegrezza, ma anche \`e cosa plebea, e affatto contraria al fine delle rappresentazioni teatrali, o serie, o giocose che sieno, e molto pi\`u delle serie. Ivi tutti attendevano con perfetto silenzio; appena udivasi un sommesso, e breve bisbiglio, per secondare l'applauso del Re, e della Regina, quando a taluno degli attori lo davano. Nel suo casino presso Bologna fra le altre pitture veggonsi certi quadri, ove sono espresse da Francesco Battagliuoli le scene della Niteti, e della Didone, e dell'Armida. Questo ultimo dramma, che si rappresent\`o in occasione del Principe di Savoja coll'Infanta Donna Maria Antonia, \`e il solo, che non fosse di Mestastasio. In detti quadri ciascuno ammira la magnificenza di quelle scene. Di mano dello stesso Pittore ivi sono le quattro vedute della Reale Villa di Aranquez, e in una di quelle vedesi rappresentata una illuminazione del giardino fatta comparire improvvisamente il giorno 30 di Maggio del 1751 festeggiandosi il nome di S. Ferdinando. Questo nuovo pensiere fu fatto, ed eseguito in tre quarti d'ora, mentre il Re sedeva nel Teatrino ascoltando una serenata. Poi con aggradevole sorpresa gli si fece vedere l'allegrezza di quei lumi, e quasi una fattizia aurora nascente aprendo una delle finestre della stanza colla ragione, che l'aria dentro erasi di troppo riscaldata. In tutte le tavole, che ho detto, le dipinte figure, che sono in grandissimo numero, rappresentano le vere persone o degli spettatori, o degli attori abbigliate secondo il costume proprio di ciascuno. Forse ancora sar\`a chi desideri di vedere la forma delle cinque navi, che servivano a' deliziosi viaggi del Re. Queste veder si possono delineate, e colorite in un ampio volume manoscritto, e nobilmente legato in marocchino, che il Broschi port\`o seco di Spagna, avendone lasciate altre due simili copie, l'una appresso del Re, l'altra appresso del direttore del Teatro. Esse navi sono di forma dissimile le une dalle altre, ma pompose tutte, ed ornatissime, e ci\`o, che nel disegno non pu\`o apparire, avevano tutte certi ordigni, per cui si sollevavano dal fondo le mense cariche di rinfreschi, e gli sostegni colle carte musicali, e gli strumenti opportuni, ove altri volesse cantare, o suonare. Nel libro stesso \`e notato, quando, e quante volte quelle navi andassero in corso; i nomi delle Dame, e de' gran Signori, che in ciascuna accompagnarano le Persone Reali; le leggi, che erano stabilite per regolamento de' nocchieri, e per la maggiore sicurezza della navigazione. Cos\`i pure ivi si notano tutti i Drammi rappresentati; gli Attori, che rappresentavano; gli stipendi di ciascuno; le altre spese, ed i regali ancora, che per ragioni straordinarie si distribuivano, perch\'e in quel libro v'\`e una ordinata, e diligentissima memoria d'ogni cosa. Le cure, delle quali insino ad ora abbiamo parlato, risguardavano tutti i sollazzi del Re, e dei Nobili Cortigiani. Ma altre cure furono addossate al Signor D. Carlo, che risguardavano oggetti di maggior momento. Chiam\`o la Regina Barbara due Monache Salesiane, e volle ad esse fondare un ampio, e comodo Monastero, dove le fanciulle nobili avessero educazione, riservando a s\'e, e alle future Regine la nomina di dodici fra queste, assegnato ad esso del suo il convenevole sostentamento. Volle anche aggiungere al Monastero un'abitazione separata per se stessa quando voglia le venisse di ritirarsi in solitudine. Dell'uno, e dell'altro edificio, e cos\`i pure degli arredi della casa ebbe la cura il signor D. Carlo, il quale in ci\`o portossi al suo solito molto valorosamente. Acciocch\'e il desiderio della Regina fosse prontamente appagato, commise ad un tempo in pi\`u luoghi lavori diversi; da Napoli, da Bologna, da Milano fece venire gli arredi sacri, lini, sete, l'organo, le argenterie. Il Re godeva assaissimo delle pie sollecitudini della consorte, perch\'e l'amava assaissimo, e prendeva gran parte in tutto ci\`o, che a lei piaceva. Quindi osservando egli minutamente si fu accorto, che a quella grandissima diligenza nel commettere era pure fuggita una cosa, cio\`e il gran candeliere, che sostiene il cereo della Pasqua. Subito comand\`o a D. Carlo che facesse fabbricare una candeliere in forma di un Angelo della statura naturale dell'uomo, e ci\`o con grandissima celerit\`a, e segretezza. Sopravvenuta poi la settimana santa il si fece portare nella propria stanza, e come prima entr\`o la Regina, glielo mostr\`o dolcemente scherzando sulla sua dimenticanza, alla quale egli avea pur dovuto supplire, e le ne fece dono. Non solo il Cavaliere volontieri pose l'opera sua in servigio della Regina, e delle Monache novelle, ma anche volle lasciarvi una sua memoria donando ad esse un nobile quadro, cio\`e un San Giovanni di Dio, che porta sulle spalle un infermo, opera del celebre Moriglio. Finalmente fu egli incaricato del buon regolamento della musica sacra nella Real Cappella dal Cappellano maggiore il Patriarca dell'Indie con approvazione del Re; al qual officio parimente attese con diligenza, e singolarmente per la funzione della settimana santa procur\`o da Roma le composizioni pi\`u celebri, che ivi tenevansi custodite con molta gelosia, persuaso, che l'esempio delle cose sacre non altronde si convien prendere, che da Roma. Adoperandosi il Signor D. Carlo Broschi in tutte queste commissioni con tanta fedelt\`a, e diligenza, sempre pi\`u si acquistava l'amore, e la stima di Ferdinando, tanto che egli pens\`o ad elevarlo all'Ordine sommo di Calatrava. Gi\`a pi\`u volte il Re insin da principio avea voluto onorarlo, e gratificarlo con officj, e doni. Aveagli in ultimo offerto il grado di Consigliero di Azienda, ma egli sempre avea rifiutato; Finalmente il Re fatte prendere in Napoli le prove della nobilt\`a della stirpe, senza ch'egli di ci\`o niente sentisse, un giorno stringendo in pugno la Croce dell'Ordine gli disse: Noi vogliamo oggi vedere, se tu rifiuti ogni cosa, che ti venga da noi. Rispose il Broschi: Io non rifiuter\`o mai cosa, che mi venga da Vostra Maest\`a, essendo insieme onorevole a me, ed a quella. Il Re aperse il pugno, e fecegli vedere la Croce. Inginocchiatosi il Broschi ringrazi\`o Sua Maest\`a dicendo, che accettava per non parer superbo, e immeritovole, ma che bisognavasi innanzi far le prove del sangue. Rispose il Re: Noi abbiamo gi\`a fatto da chirurgo, e trovato che il sangue \`e buono; e colle proprie mani gli applic\`o al petto la Croce. Fecesi poi la cerimonia solenne nel real Convento delle Dame Commendatore di Calatrava. E quivi ricevuti gli stivaletti, e il manto secondo la consuetudine, egli medesimo porse al gran Maestro la Croce, che gli avea data il Re, e che egli allora portava in mano, e quella di nuovo dal Maestro gli fu al petto posta. La Croce medesima lasciata in testamento al Real Ordine di Calatrava fu poi mandata al detto Real Convento, e registrata nelle memorie, che ivi conservansi nell'archivio delle dette Dame Commendatore. Il mondo stup\`i di tanta elevazione di Farinello, ma chi avesse da vicino considerati i modi suoi, non ne avrebbe pigliata ammirazione alcuna, ma compiaciuto se ne sarebbe. Tante erano le laudevoli prerogative del suo animo, e cos\`i bene secondo le occasioni si erano venute disponendo. La pi\`u parte di quelli, che godono il favore de' Principi, non sogliono volontieri dimandar grazia per altri, volendo usare tutto il favore in vantaggio proprio. Il Broschi non ricus\`o mai d'intercedere in favore d'alcuno, dove gli paresse di poter ci\`o fare giustamente, e convenevolmente. In altro caso ogni mezzo con lui era inutile, e meno utile di tutti era quello dell'oro. Uno dei Grandi desiderava di essere creato Vicer\'e del Per\`u, e gli esib\`i in regalo quattrocento mila piastre. Gli rispose, che i suoi meriti, e i ministri del Re potevano fargli ottenere il suo intento. Quanto a lui, gli avrebbe preparato un palco per sentir le Opere, che si cantavano nel Teatro reale. Un gran Ministro gli mand\`o in regalo una cassetta piena d'oro non so il quanto, ma senza dubbio d'un valore grandissimo. Questi niente chiedeva, solo intendeva obbligarselo. Don Carlo la ricus\`o incontanente rispondendo, che egli non aveva bisogno di danaro, e quando ne avesse, avrebbe confidato nella benignit\`a del Re; e coraggiosamente aggiunse, che egli non si vendeva a nessuno. Nelle cause giuste non solo era pronto a far parte agli altri dei favori del Re, e dei Grandi, che gli erano amici, ma alle occasioni beneficava altrui con danaro suo proprio; n\'e mai era tanto lieto quanto allora che avesse potuto rendersi altrui giovevole in qualche modo. Il Generale di Montemar aveva condotto dall'Italia un gran numero di suonatori, cantori, e altri artefici; ma avendo egli perduta la grazia del Re, rimanevano tutti privi di sostegno. Il Cavaliere commosso a compassione procur\`o a tutti impiego, e acquistossi allora il titolo di Padre degl'Italiani, col quale spesse volte fu nominato. Tra questi era Giacomo Campana Bonavera gi\`a ricordato innanzi, cui egli allora diede in ajuto al Pavia macchinista, dipoi con decreto del Re lo promosse alla cura principale delle macchine, e alla custodia del Teatro, e nelle sue mani partendosi ne depose tutti gli arredi. Fu anche da lui singolarmente favorita la Signora Teresa Castellini Milanese chiamata in Ispagna dalla Regina Barbara, la quale egli stesso prese a perfezionare nel canto, movendolo a ci\`o non solo l'ottima disposizione che in lei scorgea, ma anche la sua somma modestia, e verace Morale Cristiana. Nel terremoto di Lisbona i cantatori, suonatori, e ballerini, che col\`a si trovavano, fuggendo a lui ricorsero; ed egli non ricus\`o l'ajuto suo a persona. Spese in quella occasione due mila doppie del suo, oltre i soccorsi, che procur\`o ad essi dai Grandi suoi amici, e dal Re, e dalla Regina. Era anche facile a prestare, e fidandosi dell'altrui onoratezza costantemente taceva. Bene \`e il vero, che a molti, che domandavano molto, in vece di molto prestare donava poco; intendendo egli, che un tal beneficio muta gli amici in nemici, se poi non possono, o non vogliono al loro debito compiere. Quanto era pronto, e animoso al chiedere per gli amici, e per gli stranj, tanto era verecondo, ed alieno dal procurare vantaggi a s\'e, o a' suoi. Riccardo suo fratello, che fu condecorato da Ferdinando della carica di Commissario di guerra della marina, non fu di ci\`o debitore alla intercessione di D. Carlo, ma al suo proprio merito, e alla volontaria liberalit\`a del Re. Mor\`i questi nel fiore dell'et\`a l'anno 1756. Avea innanzi servito il Duca Alessandro di Witemberg. Era valente compositore di musica, e di lui trovasi un'Opera stampata in Londra. Delle cortesie, e beneficj, che aveva ricevuti, non mai il Broschi si dimentic\`o. Al Porpora gi\`a suo maestro sped\`i pi\`u volte soccorso di danaro, a Londra, a Vienna, a Napoli; non per\`o amava di averlo vicino per la sua imprudente, e molto ardita loquacit\`a. Morto Antonio Bernacchi fecegli fare a sue spese magnifiche esequie nella Chiesa degl'Italiani di Madrid. Del Poeta Crudeli, che l'onor\`o coi suoi versi, si ricord\`o con dolore nelle sue disgrazie. Sebbene non intendo io con questo attribuire a lui la violenta sua liberazione. Altri in ci\`o ebbero mano. Non solo agli amici soccorreva, mentre eran vivi, ma anche alle famiglie loro dopo la morte. Cos\`i fece col pittore Amigoni, e con Domenico Scarlatti, il primo de' quali non visse abbastanza per la fortuna de' suoi, ed il secondo giocando avea miseramente dissipati i frutti della sua abilit\`a, e i doni della reale munificenza. Non era punto geloso degli altri Musici eccellenti, anzi gli amava, ed esaltava, come fece con Egiziello, Raf, Amadari, Garducci, Carlani, ed altri, cui procur\`o diversi vantaggi, e introdusse a a cantare nella camera del Re, dove l'ingresso per le donne \`e impossibile, ed agli uomini difficile. Pochissimo parlava delle altrui azioni, e in male non mai. Anzi interpretava in bene ogni cosa, e finch\'e era possibile a tutto trovava scuse. A perdonare le offese era facilissimo, e pazientissimo in sofferire i suoi nemici, e disprezzatori. Faceva il sordo, e la costanza sua in ci\`o era invincibile. Ma stava attendendo sempre le occasioni, in cui potesse vincere il male col bene. Un nobile Signore parlava di lui ingiuriosissimamente accusando la bont\`a del Re verso la sua persona, e lagnandosi, che i meriti della sua famiglia antichissima fossero dimenticati. Costui desiderava un grado nella milizia per un suo figlio. Farinello senz'altro dire gliel'ottenne dal Re, e di propria mano consegn\`o a lui la patente, dicendogli, che avea voluto farsi con lui quel merito per la stima, ch'avea della sua persona, e famiglia. Quanto era paziente, altrettanto era prudente e cauto. Voleva il Re assegnargli una pingue Commenda dell'Ordine di Calatrava. Egli modestamente la ricus\`o, dicendo, che premj tali si doveano a sudditi benemeriti, che avessero lungamente faticato in servigio di Sua Maest\`a, o esposta la vita a pericoli per difesa dello Stato: egli per contrario avea sempre tranquillamente goduto degli agi della Corte, e le grazie del Monarca. Detto questo sugger\`i al Re un Nobile meritevole, e bisognoso, e indusselo a conferire a lui la Commedia sottraendo se stesso in questo modo alla invidia de' nazionali, ed esercitando la sua beneficenza verso chi n'era degno. Era la sua anticamera frequentata da' Maggiori del Regno, da' Ministri nazionali, e forestieri, da tutti quelli, che speravano, e desideravano alcuna cosa. Egli nondimeno in tanto favore di fortuna non dimentic\`o mai se medesimo; onde usando co' Grandi con somma confidenza, e famigliarit\`a, non diminu\`i punto la riverenza, n\'e fecesi lecito di trascurare gli splendidi titoli, che a ciascheduno si convenivano. Similmente usando co' minori di s\'e era sempre mansueto, e piacevole, n\'e mostr\`o mai segno di alterezza. Il sarto, che lo serviva degli abiti, venne in desiderio di ascoltarlo cantare. Avendogli un giorno portato un abito nuovo di molto prezzo, e presentato la lista delle spese, ricevuto l'ordine d'andare a farsi pagare, Io, disse, Signore, non ricuso d'esser soddisfatto, ma vorrei esserlo in altro modo. In quale modo? soggiunse il Cavaliere. Ed il sarto: Io gi\`a da gran tempo frequento la sua casa. Lo tocco e lo vesto colle mie mani, n\'e mai ancora ho avuto la fortuna di udire, quale sia il suo canto. Tutta la Corte risuona delle lodi, che per ci\`o si fanno alla Eccellenza vostra. Come potrei io non desiderare di essere una volta a parte di cos\`i meraviglioso diletto? Sorrise il Cavaliere, e lietamente facendosi sedere a lato presso il cembalo per lungo spazio di tempo lo trattenne, suonando, e cantando con la maggior energia, e con tutte le finezze dell'arte, come se cantasse al Re, e alla Regina. Soddisfatto pienamente il desiderio del sarto doppiamente il fece pagare del suo credito. Cos\`i Farinello tenevasi egualmente lontano da ogni eccesso di contegno, e di confidenza, e conservavasi l'amore de' piccioli, e de' grandi. Ma perch\'e all'uomo savio non basta esser voto di colpa, ma dee anche procurare di non soggiacere all'imputazione, ed al sospetto di colpa (il che nella variet\`a degli affari, e pi\`u a' forastieri \`e cosa facile) egli non solo nelle commissioni dispendiose che gli furono addossate, procur\`o la massima economia possibile, secondo le circostanze; ma di pi\`u per sua cautela, e sicurezza fin da principio si dichiar\`o di non voler maneggiar danari, e domand\`o che gli fossero assegnati computisti, e cassieri, che avessero cura dell'economia, e de' pagamenti. Fugli dato per Itendente D. Andrea Gomez de la Vega Cavaliere dell'Ordine di Calatrava, e per Tesoriere D. Francesco Ocariz, e sempre il danaro pass\`o per le mani loro; anzi quanto al Teatro di anno in anno voleva, che tutti i capi delle spese, esposti in un foglio solo, fossero palesi al Re, ed a chiunque li volesse vedere. Anche non abus\`o mai della indulgenza del Monarca per introdursi negli affari dello Stato, e rispettosamente dipendeva da ciascuno de' Ministri in ci\`o, che a loro apparteneva. Trovandosi fra quelli, che fuggirono dal terremoto di Lisbona due illustri Musici Milanesi, Reina, e Sorbelloni, che erano al servizio immediato del Re, Farinello non ammise per legittima ragione dell'abbandono il terrore, n\'e stim\`o che gli fosse lecito di movere parola a lor favore, innanzi che ottenessero la liberazione dall'Ambasciatore di Portogallo. Poich\'e l'ebbero ottenuta, li colloc\`o nella Cappella del Re di Spagna. A tutte queste prerogative eccellenti univa la Religione, che \`e la somma delle virt\`u, e il solo fermo sostegno delle buone operazioni. Adempieva esemplarmente ai doveri della Chiesa. Teneva un Cappellano in casa, perch\'e trovandosi in Londra aveva ottenuto il privilegio dell'altare domestico, e ancora del portatile con rescritto di proprio carattere di Benedetto XIV Pontefice di santa e gloriosa memoria. Sempre parlando davali la destra mano, e alla mensa il luogo sopra di s\'e. Anche prima di portarsi nell'Inghilterra erasi fornito delle licenze opportune per l'uso delle carni a quiete maggiore del suo spirito, tenendosi cos\`i pi\`u lontano dal pericolo. Del padre, ch'egli perdette in tenerissima et\`a, conserv\`o lunga memoria, e ne parlava con piet\`a somma, benedicendo la severit\`a, colla quale era stato da lui educato, ed istruito. Altrettanta riverenza, e tenerezza conserv\`o verso la madre, la quale visse insino ai primi tempi, ch'egli fu in Ispagna. E da ogni lontana parte teneala ottimamente provveduta d'ogni comodit\`a, e comandava anche spesso al fratello, alla sorella, e al cognato, che le fossero ossequiosissimi, e le prestassero ogni maggiore, e pi\`u diligente assistenza. Or chi potrebbe maravigliarsi, che un uomo di tal carattere fosse fortunato, e salisse ad alto grado? Piuttosto possiamo noi apprendere da lui, quale sia la strada della fortuna. Nessuna cosa per\`o \`e lungamente durevole in questa terra. I due Sovrani, che tanto favorivano, ed apprezzavano il Farinello, erano robusti, e giovani. Nondimeno la morte in poco tempo fuori d'ogni aspettazione li lev\`o dal mondo. La Regina and\`o innanzi, e per memoria di s\'e lasci\`o al Musico Farinello le sue carte musicali, e i suoi cembali; poi seguitolla il Re con picciolo intervallo non essendosi mai potuto racconsolare della sua perdita. Questi due Sovrani furono congiunti in matrimonio l'anno 1729 nella pi\`u tenera et\`a sulle frontiere del Portogallo, essendo ivi presenti i genitori Filippo V, e Giovanni V. Erano Ferdinando di anni 16, e Barbara di 17. Vissero insieme anni 29 con tanta concordia, e tanto amore vicendevole, che raro vedesi tale esempio ne' pi\`u felici privati. Volendosi il Re allontanare da Madrid per non udire il suono lugubre delle campane, che annunziavano i funerali della Regina, e non essendo la stagione propria per la Villa di Aranquez, dove le acque del Tago in tal tempo allagano, e stagnano, trasport\`o la sua abitazione a Villa viziosa, Castello dello Stato di Ciogion gi\`a della Casa Barberini, e venduto poi all'Infante Don Filippo. Dimorato in questo luogo giorni 15, e crescendo sempre la mestizia in vece di diminuirsi, cominci\`o ad infermare. Le preghiere, e gli sforzi dell'Infante D. Luigi suo fratello (che mai non l'abbandon\`o sino all'estremo) n\'e gli officj di alcun'altra persona potettero pi\`u indurlo a mutarsi di l\`a, n\'e restituirsi alla Corte di Madrid. Farinello, che fu subito chiamato il giorno dopo dal Re, e che ivi si ferm\`o, avendo il Re ordinato al Duca d'Alba Maggiordomo Maggiore, che incontanente preparasse a lui il quartiere, raddoppi\`o le sue diligenze, ed industrie per divertire il Re dal suo dolore; ma quei mezzi medesimi non aveano pi\`u la forza medesima, che innanzi, quando la consorte era presente, e in quelli avea parte. Cos\`i consunto da una lenta malattia a' 10 d'Agosto 1759 mor\`i di anni 46 essendo morta pure di anni 46 la Regina undici mesi e mezzo avanti. Rimase il Cavaliere afflittissimo per la doppia, e gravissima perdita di due Sovrani da lui tanto venerati, ed amati. Aggiungevasi a tanta afflizione la febbre terzana, che gi\`a da qualche tempo lo travagliava, e all'una, e all'altra cagione di dolore, e di malavoglia, si sopraggiunse la terza, cio\`e il general cangiamento verso di lui delle persone di Corte, e degli amici che avea, o che si credeva avere. Era facile il prevedere, che Farinello appresso a chi succedeva nel comando, non avrebbe avuto altrettanta grazia, perch\'e la Regina Elisabetta non era per s\'e molto propensa alla musica. Il Re Carlo forse meno. Alcuni ancora immaginavano, che la Regina Elisabetta non fosse appieno contenta di lui, perch\'e corteggiando la Regina Barbara non era stato molto frequente alla sua anticamera. La escusazione era facile, perch\'e egli non poteva essere in due luoghi ad un tempo. Egli ancora parlava spesso di lei con grandissime lodi. La chiamava il primo fondamento della sua fortuna in Ispagna, e finch\'e visse fu solito dire, ch'ella era Principessa degna di mille Imperj, di magnanimit\`a ammirabile, e tanto grande liberalit\`a, che quasi soprabbondando erasi da lei trasfusa nel regnante glorioso Carlo Terzo, il quale generosamente davagli da vivere senza obbligarlo a servire. Pure gli uomini cos\`i pensavano, e questo bast\`o, acciocch\'e a lui avvenisse ci\`o, che avviene generalmente ai Grandi, quando perdono la protezione del potere sovrano. Non avea ancora Ferdinando chiusi gli occhi, che l'appartamento del Broschi era gi\`a abbandonato, e solitario. Gli amici, e famigliari parevano divenuti stranieri in un istante, di che il Broschi non potea non meravigliarsi altamente, come quello, che era a se stesso consapevole di aver fatto benefizio a qual pi\`u, a qual meno, ma quasi a tutti. Perci\`o erasi lusingato di dovere essere esente dalla comune condizione de' suoi simili. Un amico vero non della fortuna, ma della persona, osservando la sua maraviglia assai opportunamente gli disse: Come mai, o Signore, vi pu\`o sembrar nuova questa ingratitudine o instabilit\`a degli uomini, che il vostro amico Metastasio vi ha gi\`a predetto tanti anni innanzi? Quando, disse, mi ha egli fatto tale predizione? Rispose l'amico: Quando egli stava scrivendo la prima scena del suo Artaserse, la quale egli fece appunto per ammonirvi di ci\`o, che ora vi accade. E questo detto poseli in mano il libro, e fecegli leggere quelle parole, che non potevano essere meglio al proposito: L'altra turba incostante Manca de' falsi amici, allor che manca Il favor del Monarca. Oh quanti sguardi, Che mirai rispettosi, or soffro alteri! Due giorni dopo la morte del Re ritornato a Madrid baci\`o la mano della Regina Madre, che benignamente lo accolse. Soprastette nella Spagna infin che il Re Carlo dall'Italia venisse, e allora and\`o ad incontrarlo a Saragozza. Quivi umilmente lo ringrazi\`o della continuazione del soldo conferitogli da Filippo V che Sua Maest\`a gli aveva gi\`a confermato in Napoli infino dal d\`i primo di Ottobre dell'anno antecedente 1759 con parole sommamente onorifiche, esprimendosi, che egli ci\`o facea in considerazione della moderazione di lui, non avendo mai abusato del favore, della amorevolezza, e della generosit\`a del Re suo antecessore. Dimor\`o in quella citt\`a tre settimane per alcune leggiere malattie della Regina e degl'Infanti. Dipoi secondo la deliberazione gi\`a fatta seco stesso si avvi\`o verso Italia senza ritornare a Madrid, avendo gi\`a incaricato col\`a un amico suo intrinseco, e fedelissimo, quello che abbiamo pur dianzi ricordato, acciocch\'e avesse cura delle cose sue. Egli era munito di ampj passaporti per la sua persona, famiglia, ed equipaggio, che non fosse visitato, n\'e pagato diritto. L'amico nondimeno una e due volte trov\`o difficolt\`a ne' custodi delle porte; forse perch\'e con tali importunit\`a volevano fare ostentazione della fedelt\`a loro; finch\'e la terza volta dovette il Re confermare, che ci\`o era in suo volere, aggiungendo, che l'officio de' Ministri era di obbedire a' comandi, non di giudicarli. Fece il viaggio lentamente, perch\'e le terzane replicavano, n\'e in tutto risan\`o, che in Bologna. Passando per Parma fu ad inchinarsi all'Infante D. Filippo, che l'accolse benignamente; e poco dopo, cio\`e a' diciannove di Novembre dell'istesso anno 1760, prese la via di Napoli per porsi a' piedi di quel Re ancor fanciullo e solennemente riconosciuto poco innanzi, quando Carlo incamminossi verso le Spagne. A Capo di Chino fu di nuovo molestato dagli stradieri, ma la molestia ridond\`o in suo molto onore, perch\'e diede occasione alla Nobilt\`a Napoletana di far conoscere quanto a ciascuno fosse grato quel suo viaggio. Singolarmente si pales\`o la costante affezione e stima del Principe D. Antonio Caracciolo gi\`a nominato, e della numerosa famiglia di Belmonte, la qual fioriva di molto illustri Personaggi, tra' quali erano l'Arcivescovo di Capua D. Michele Pignatelli, il Principe, e la Principessa di Belmonte loro genitori, e il Principe di S. Nicandro. Quivi dimoratosi intorno a sei mesi a' 13 del seguente Giugno si fu restituito a Bologna, dove fece il resto della vita in quiete, ed onore. Egli ogni anno visitava una volta il Duca di Parma, e pi\`u volte egli stesso era amorevolmente visitato dal Cardinal Legato di Bologna, dal Cardinal Arcivescovo, dal Maresciallo Pallavicini, che dopo lo splendido governo dello Stato di Milano quivi avea posta la sua abitazione, e da molti de' Nobili, e singolarmente da' Senatori Spada, Zambeccari, Ratta, Tanara, uomini assai colti, e sommamente favorevoli alle lettere, e a' letterati. Il Senatore Spada era ancora Poeta d'assai purgato giudizio. Vennero sul principio a riverirlo due Gesuiti Superiori, ma egli ricevendoli con contegno, sebbene non senza urbanit\`a, e stando egli stesso in piedi, non mai disse loro che sedessero. In Ispagna era gi\`a licenziato il Confessore dalla Corte, onde un tale riguardo in lui era necessario. I Gesuiti prestamente si accomiatarono, n\'e egli d'allora in poi ammise altri della Compagnia, che i due fratelli del Principe Pignatelli, ed alquanti altri pochissimi del medesimo alto grado, e rare volte, e ci\`o solamente dacch\'e furono sciolti dal legame, che gli univa. Del resto egli conserv\`o un silenzio esattissimo sopra i fatti dei Gesuiti, n\'e di loro parlava mai, n\'e in bene, n\'e in male, come se non gli avesse conosciuti. Tra quelli, che pi\`u frequentavano la casa sua, era il Padre Maestro Martini de' Conventuali tanto illustre al mondo per la sua scienza dell'arte, ed istoria musicale. Il Broschi era uno de' suoi antichissimi amici, anzi a lui stesso debbono gli eruditi, e studiosi della Musica la bella, e dottissima opera, che egli va componendo. Bernacchi amico comune familiarmente parlando col Padre Maestro, aveva da lui inteso il disegno, che eragli nato in mente, e insieme la sua irresoluzione per le difficolt\`a grandi che gli si opponevano tanto per l'ampiezza del soggetto, quanto per la gravezza delle spese necessarie. Bernacchi ne scrisse a Farinello, e Farinello rispondendo gli ordin\`o di significare al Padre Martini, che la Regina Barbara avea ricevuta la dedica della sua Istoria della Musica. Rest\`o sorpreso il Padre Martini, come quello, che non avea mai avuto l'animo a questo. Nondimeno per non mancare alla parola gi\`a data dall'amico, n\'e rozzamente rispondere all'altrui amorevolezza, ringrazi\`o la Regina, e poste da canto le dubitazioni si applic\`o subito al lavoro. Possa egli condurlo alla fine conservandolo Iddio lungamente, e l'Italia avr\`a da lui eseguito in tal genere un pi\`u ampio disegno, che altri non potesse immaginare. Lo stesso Religioso, che quanto \`e dotto, altrettanto \`e pio, e prudente, fu suo confessore, e in diversi casi consigliero. L'anno 1769 Giuseppe Secondo Imperatore passando rapidamente, e incognito per Bologna, dimand\`o la sera all'albergo di Farinello; ed essendogli risposto, che egli abitava fuori della citt\`a, soggiunse, che gl'incresceva di non poterlo vedere, perch\'e quello era un uomo singolare, il quale avendo potuto molto, non avea mai fatto male a persona, ma bene a tutti. Con questa istessa lode, anzi quasi colle parole medesime era egli stato onorato dal Conte Caprara Senatore Bolognese, e Cavaliere del Toson d'oro a nome dell'Imperatore Francesco Primo, quando fu la prima volta alla Corte di Parma dopo il ritorno dalla Spagna, ove alquanti giorni si trattenne. Il Farinello avea avuto occasione di guadagnarsi la grazia di quel Principe nelle sue gite a Vienna; e in quella si conferm\`o con una volontaria, e inaspettata visita, che gli fece a Presburgo, dov'egli risiedeva come Vicario d'Ungheria. Ritornando Giuseppe Secondo da Roma dimor\`o palesemente in Bologna per picciol tempo. Allora Farinello fu da lui accolto con somma graziosit\`a, e trattato per notabile spazio di tempo in discorso da solo a solo; il quale onore per s\'e grandissimo fu riputato pi\`u grande, considerato lo scarso numero delle persone, che ebbero in quell'occasione la sorte di essere ammesse all'udienza di Sua M. Imperiale. Con tutti questi onori, con tutta la quiete, che godeva, e i comodi, e le ricchezze non era per\`o il Broschi felice. La malinconia, alla quale era stato sempre propenso, gli si facea sentire pi\`u nojosa, sia che il sangue con l'et\`a si raffredda, sia che la quiete, e il porto per lo pi\`u non \`e aggradevole a quelli, che sono stati lungamente avvezzi allo strepito, e alla navigazione. Sempre avea preferiti i Principi, che gli erano stati amorevoli, e gli altri illustri Personaggi gi\`a morti, che avea conosciuti. Vedendo i loro ritratti, de' quali avea ornata la casa, si sentiva commovere. Con sentimento di viva gratitudine, pregava requie ora a questo, ora a quello; e intanto con la memoria del passato accrescevasi in lui la malinconia presente. Bene avea due mezzi, onde soccorrere a se stesso, e gli usava. L'uno era la Musica istessa, che era stata l'origine di sua fortuna. Egli non ne perdette mai il gusto. Suonava eccellentemente or l'uno or l'altro de' cembali ottimi, che aveva, e gli trattava cos\`i bene, che pu\`o dirsi, che il pregio, e la forza di ciascuno non si facesse mai meglio sentire, che sotto la sua mano. Cantava ancora spesso, e conserv\`o la voce fino alla fine gagliarda, e bella. Tre settimane innanzi alla morte cant\`o quasi tutto il giorno. Egli paragonando se stesso con se stesso, quando era giovine, trovava in s\'e molta differenza; ma gli altri ancora l'udivano con piacere, e maraviglia. Udiva egli stesso con piacere i Musici, che andavano a visitarlo, e lodava ogni cosa; ma non preg\`o mai alcuno, che cantasse. L'altro mezzo era la piet\`a. E certo l'uomo non ha consolazione alcuna pi\`u possente, e pi\`u sicura di questa. Ogni mattina levatosi dal letto orava molto divotamente. Una delle finestre riguardava il religiosissimo Tempio appellato della B. Vergine di S. Luca, che sta sulla cima di un colle non guari lontano. Da questo luogo egli orava, e fece tagliare alquanti alberi molto belli, ed alti, perch\'e gli ne impedivano la veduta. Sempre era stato divotissimo della B. Vergine, ed aveva in costume di accostarsi a' SS. Sacramenti nelle sue feste principali, oltre all'altre solennit\`a maggiori dell'anno. Ne' molti viaggi, che egli fece in giovent\`u per l'Italia, non declin\`o mai dalla strada, che potevalo portare al Santuario di Loreto. La prima volta raccomandatosi ivi caldamente a M. V. acquist\`o un pezzo d'un antico manto, che avea servito alla S. Immagine, e ripostolo insieme colla memoria autentica in bauletto riccamente ornato lo port\`o sempre seco, giuntovi altre sacre Reliquie, tra le cose sue pi\`u preziose, e care. Il giorno innanzi alla morte fecesi portare quel Velo; lo baci\`o con somma venerazione, e preg\`o il Sacerdote assistente, che con quello lo benedicesse. Tornato di Spagna visit\`o di nuovo la S. Casa, fece dono di preziosi arredi, e vi fond\`o 12 Messe distribuite in varj giorni segnalati dell'anno. Dilettavasi della lezione de' libri di piet\`a, e la sera se ne facea leggere alcuno, e ci\`o singolarmente ne' tempi, che pi\`u c'invitavano alla meditazione de' divini Misterj, nell'Advento, e nella Quaresima. Amava sopra tutto la Istoria Sacra, nella quale era versatissimo, e volle in quella istruire per se medesimo una sua nipotina. Come la Religion sua era sincera, cos\`i era accompagnata da ottime, e molto esatte massime di Morale, e alle massime seguivano le operazioni conformi. Pi\`u volte fu pregato da chi desiderava ottenere da lui stesso le memorie della sua vita, e sempre le neg\`o, dicendo: A che giova questo? a me basta, che sappiasi, che io non ho recato danno a persona. Aggiunga pure chi vuole il mio dispiacere di non aver potuto fare quel bene, che avrei desiderato. Il Parroco di S. Michele Arcangelo detto in Porta nuova molto si rallegr\`o avendo preso una casa anche in citt\`a nella parrocchia sua, perch\'e ne' gravi bisogni de' parrocchiani sapeva a cui ricorrerre, e mai non ricorreva invano. N\'e gi\`a dentro a quei confini si ristringevano le sue elemosine, ma a chi che sia facilmente facea sentire i frutti della sua liberalit\`a; la qual cosa a me sembra degna di osservazione, perch\'e gli uomini invecchiando per lo pi\`u divengono tenaci, e per lui allora era chiusa la sorgente di nuove ricchezze. Come gi\`a nella Spagna avea specialmente protetti gl'Italiani, cos\`i in Italia fra tutti favoriva gli Spagnuoli. Ragguagliato un anno con l'altro spendeva in ciascuno intorno a mille lire ne' poverelli di quella nazione, che tutti quanti a lui venivano; a chi donava camicie, a chi calze, scarpe, a chi danaro; e non avendo impedimento volea parlare con ciascuno. Queste sono le memorie, che io ho potuto raccogliere della vita del Broschi, attingendole a fonte sincero, cio\`e dalla narrazione di persone, che non udirono, ma videro, e che aveano l'occhio puro, e chiaro per veder bene, e senza errore. Nelle celebri Memorie politiche, e militari del Mareciallo Duca di Noailles pubblicate dal chiarissimo Abbate Millot si presuppone contro quello, ch'io ho di sopra indicato, che Farinello avesse parte negli affari di Stato, perch\'e l'anno 1754 leggesi, che il Duca di Duras Ambasciadore di Francia si confidava di poter prontamente recare a buon termine le sue commissioni, perch\'e egli avea dissipate le prevenzioni di Carvajal, era sicuro dei sentimenti del Confessore, e potea gi\`a dare fondamento sul Musico Farinello. Certo se l'Ambasciadore nutriva tale speranza, egli immaginava, che Farinello s'intromettesse negli ufficj de' Ministri. N\'e la sua immaginazione era punto inverisimile. Un altro, che avuto avesse nella Corte la fortuna di Farinello, ma non la prudenza, e la modestia, astenuto non si sarebbe. Ma Farinello contento di cooperare alla beneficenza del Re, intercedendo a favore di questo, e di quello dentro certi termini, come ho di sopra rappresentato, non and\`o pi\`u oltre. Egli ancora non fu mai solito di lusingare alcuno con vane speranze. Questo a me porgono le notizie a me pervenute, n\'e a me si rende credibile, ch'egli avesse potuto tanto lungamente conservarsi la grazia de' padroni, e de' ministri, e vivere in un perpetuo riposo, se altrimenti si fosse condotto. Ma in confermazione del fatto posso io anche arrecare una conghiettura non leggiera. Farinello non previde di un giorno solo la caduta del celebre Ministro Ensenada; anzi percosso dalla subita rivoluzione temette, che la stretta amicizia, e la osservanza da lui conservata inviolabilmente verso del Ministro gli potesse essere imputata a colpa; perci\`o si port\`o subito a' piedi del Re, dal quale fu confortato, dicendo, che il caso dell'Ensenada non avea niente di comune con lui. Assicuratosi Farinello per le parole del Re, e molto pi\`u per la propria coscienza, os\`o allora di chiedere a sollievo del Ministro deposto il rilascio de' suoi beni occupati, e ottennelo, dichiarando il Re, che tale occupazione non era stata di sua intenzione. Le allegate Memorie del Maresciallo Duca di Noailles in questa parte meco si concordano, perch\'e all'anno 1754 leggesi: Questa vicenda (dell'Ensenada) pose in costernazione la Corte, e la Citt\`a. Il Confessore, e Farinello ne rimasero attoniti niente meno che gli altri, tanto la trama era stata condotta secretamente. Lasciamo noi da canto il Confessore, la cui causa \`e dissimile. Io non intendo, come Farinello potesse rimanere al bujo di un affare di tanto momento infino all'ultimo giorno, se negli arcani della Corte era egli introdotto, e involto tanto quanto gli uomini hanno voluto immaginare. La Regina almeno dovevalo avvertire, acciocch\'e a tempo si ritraesse. Leggesi all'anno 1754 che i nemici di Ensenada si guadagnarono l'animo della Regina con l'oro, e innanzi all'anno 1752 si afferma, che Farinello avea sopra lo spirito di lei quasi assoluto comando. Come dunque la Regina lasci\`o il suo favorito incorrere nel pericolo, o in tanto timore di pericolo? Io non creder\`o n\'e l'una, n\'e l'altra delle cose, che quivi della Regina si narrano. A me pajono tanto false, quanto ingiuriose sono all'alto animo di quella illustre Principessa; ed io ho in questo il testimonio autorevole di persona, che trovavasi in Madrid a quel tempo, e potea vedere le cose ben da vicino, quanto il Signor Ambasciadore, e non avendo alcun negozio a trattare meno di lui era sottoposto agl'inganni, che la immaginazione suol fare a chiunque spera, e desidera. Ma di grazia posto che l'una delle due cose narrate vera fosse, come l'altra potrebbe esser verisimile? Mor\`i Farinello di febbre il giorno XVI di Settembre l'anno 1782 essendo egli quasi di anni 78. Conserv\`o la memoria ferma, e i sensi vivi fino al penultimo giorno della vita. Accett\`o il male dalle mani di Dio, e pazientemente lo sostenne con Cristiana rassegnazione. Aggiunse un codicillo al testamento fatto pi\`u mesi innanzi, per rimunerare la carit\`a, e la diligenza di chi gli assisteva, e lo serviva nella malattia. E avendo chiesto egli stesso spontaneamente gli ultimi Sacramenti con molto esemplare piet\`a gli ricevette. Non lasci\`o molte ricchezze; n\'e altrimenti era possibile, perch\'e in Ispagna spendeva ogni anno il suo soldo, e in Italia non aspett\`o a comunicare i suoi beni agli eredi dopo la morte. Nel testamento raccomand\`o agli eredi la cura, e custodia della sua suppellettile musicale, in che mostr\`o il suo genio, e insieme la stima, che faceva del legato della Regina. Certamente la unione di quelle carte per la quantit\`a, e per la sceltezza \`e di un pregio non volgare. Fra esse trovansi i libri de' Melodrammi, che si eseguivano nel Teatro di Madrid, impressi in due lingue Italiana, e Spagnuola, cio\`e gli esemplari stessi, che il Re, e la Regina tenevansi davanti degli occhi ascoltando, e sono tutti ornati assai riccamente di argento, e d'oro. Molto pi\`u degni di considerazione sono i cembali e per la perfezione, e per la novit\`a dell'artifizio. L'uno a martellini \`e opera del Ferrini Fiorentino, l'allievo del Bortolo Padovano, primo inventore del piano, e forte; l'altro \`e a penna, ma con diversi ingegni forma differenti ordini di voci. Questa \`e una invenzione nuova, parte di Farinello stesso, e parte di Diego Fernandez, il quale con tale opera si cav\`o dalla oscurit\`a, e povert\`a, in cui viveva negletto. La Regina a caso parlando con Farinello disse, che avrebbe amato un cembalo di pi\`u voci diverse, e l'interrog\`o, se ne avesse veduto alcuno. Rispose che no. Poi partitosi dalla Regina senz'altro dire consult\`o il Fernandez, il cui ingegno conosceva, e disegnatane insieme, e poi eseguita l'opera, fecelo improvisamente trovare alla Regina nelle sue stanze. Tale era il costume del Farinello, che inteso il suo desiderio, ingegnavasi di mandarlo ad esecuzione senza niente promettere innanzi. Sopra i due detti cembali fece molte considerazioni, e diligentemente levandone le misure lavor\`o i suoi il Signor Paolo Morellati di Vicenza, assai dotto nella Musica, e nell'arte meccanica. Questi fabbric\`o il primo de' suoi cembali di commissione, e a spese del Farinello istesso, che poi ne fece un presente all'odierno Duca di Parma Infante di Spagna. Gli eredi da lui instituiti furono i figli della sorella maritata in Gian Domenico Pisani Napolitano formando un fidecommisso di linea in linea di primogenito in primogenito, escluse le femmine, e gl'illegittimi. Acciocch\'e gli usufruttuarj de' suoi fidecommissi (cos\`i egli parla nel testamento) si conservino ne' buoni costumi; preghino Iddio per l'anima sua, e de' suoi benefattori; e sappiano acquistare per virt\`u, e conservare per prudenza. Fu trasportato alla Chiesa de' Cappuccini posta sopra d'un colle vicino alla citt\`a, senza pompa alcuna, come ordin\`o egli stesso. Fu di altezza straordinaria, ben complesso, bianco, di occhi vividi, e lunga vista. Il ritratto, che di lui trovasi nella insigne libreria di San Francesco di Bologna, alla quale il Padre Maestro Gianbattista Martini ha colle sue cure aggiunta una raccolta copiosa non solo dell'opere degli uomini celebri in Musica, ma anche di ritratti (secondo che tutti mi affermano), \`e similissimo al vero.